Nel mezzo dell’inverno, ho finalmente appreso che in me c’era un’estate invincibile
Tre immigrati da tre diversi Parsi del Sud America, ognuno con il proprio fardello di disgrazie, talmente terribili da risultare una sorta di caricatura della sciagura, si scontrano letteralmente e si ritrovano a condividere un grottesco spicchio di vita. L’autrice cilena prende spunto dalla frase di Albert Camus per prometterci una storia di rinascita, di sentimenti che si aprono un varco nel gelo, per dar vita, così dice, ad una estate dell’anima. Alla fine del libro però mi sono sentita come lasciata in sospeso. Il piccolo thriller messo in scena per tenere insieme i personaggi risulta un collante un po’ troppo debole e quell’amore che tutti dovrebbe salvare, resta ombra di luce smorzata.
Una prova di tecnica narrativa perfetta che non basta a ridestare nel lettore la magica emozione dei romanzi precedenti.
SECONDA DI COPERTINA
Brooklyn, ai giorni nostri. Durante una tempesta di neve, Richard Bowmaster, professore universitario spigoloso e riservato, tampona la macchina di Evelyn Ortega, una giovane donna emigrata illegalmente dal Guatemala. Quello che sembra solo un banale incidente prende tutt’altra piega quando Evelyn si presenta a casa del professore per chiedere aiuto. Smarrito, Richard si rivolge alla vicina, che conosce a malapena, Lucia Maraz, una matura donna cilena con una vita complicata alle spalle. Lucia, Evelyn e Richard, tre persone molto diverse tra loro, si ritrovano coinvolte in un thriller dalle conseguenze imprevedibili. Tre destini che Isabel Allende incrocia per dare vita a un romanzo molto attuale sull’emigrazione e l’identità americana, le seconde opportunità e la speranza che, oltre l’inverno, ci aspetti sempre un’invincibile estate.
Concordo. L’ho recensito anch’io
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